Mostra ParalleloZero - Milano

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Autrice: Giulia Mozzini
www.giuliamozzini.com

 

“È questo genere di storie,quelle che vanno oltre l'immediato o il superficiale,che dimostrano il potere del fotogiornalismo.Credo che la fotografia possa creare un vero legame con le persone,e che possa essere usata come un mezzo per capire le sfide e le opportunità che si presentano al mondo oggi.“

David Griffin conclude così un Ted Talk che guardai qualche tempo fa. David è il direttore della fotografia per National Geographic e mi colpì parecchio quando parlò della fotografia come un mezzo che crea connessioni tra le persone. Che significa, come? Suonava come una di quelle massime ciceroniane con cui sai di dover concordare a prescindere ma dentro di te sorge quel desiderio di capireprofondamente di cosa stesse parlando. Non mi sovveniva un esempio pratico da abbinare a quella riflessione.

Pochi giorno dopo, a Milano sarebbe iniziato il caldo spietato: sto boccheggiando sul divano quando lo schermo del telefono si illuminae l'iconcina blu di Facebook si tinge di rosso.Giro la testa svogliatamente,giusto di quei 30 gradi che possano consentire al mio campo visivo di intercettare il testo della notifica. Con grande sorpresa, non è la richiesta di amicizia di Abdul Aziz Kahmal Munir con 0 amici in comune, bensì un evento: 8. La tua storia, il mio futuro / Finissage!

Sarebbe iniziato un'ora più tardi, alle 18. Leggo solamente che si tratta di una mostra di fotografia, nata da una fellowship tra l'agenzia fotoreportagistica Parallelozero e la onlus Project for people. Inforco la bici prima di farmi sopraffarre dall'idea che ci sia troppo caldo per avventurarsi in mezzo al traffico.

Arrivo in Procaccini e la Fabbrica del Vapore mi accoglie con i suoi muri alti e l'ampio cortile. Incredibile come questo spazio sia cambiato nel tempo ma abbia mantenuto la sua forte energia di far nascere, di generare, come una grande mamma di cemento: all'inizio del 900 sorgeva la Ditta Carminati & Toselli e produceva materiali per il settore tramviario. A distanza di un secolo, la Fabbrica si è trasformata in uno spazio di produzione artistica, di condivisione e di aggregazione.

Già la location inizia a farmi ripensare alle Parole di David Griffin.

Mi avvio all'ingresso della mostra. Sulle pareti bianche le fotografie di Sara Casna, Simone Filpa e Daniel Alejandro Gencarelli, Shari Gioia, Nicolò Panzeri. Una lunga treccia grigio scuro in cui scintilla qualche filo bianco percorre la schiena di una signora. Riamango a guardare l'immagine davanti a me per qualche secondo. Piano piano, le scorro tutte. Un occhio incastonato tra le rughe di uno stanco profilo sembra star guardando oltre. Una mano sta adagiata sapientemente e anche tristemente sulla gamba.

Leggo le didascalie. Le immagini documentano le iniziative culturali,promosse da varie associazioni ( Formart, Project for People, Muoviti, Celim) volte a creare condivisione, stimolare dialogo e incoraggiare la creatività fra gli abitanti del quartiere della zona 8 di Milano, dalla più centrale zona di Sempione, Monumentale, Cenisio e Chinatown fino a Bonola, Ghisallo, Trenno, Lampugnano, arrivando ai quartieri più periferici di Quarto Oggiaro, Musocco e Villapizzone .

 

“ Le attività in zona 8 hanno visto la sperimentazione 

di una laboratorio stabile di storytelling dedicato alla diffusione 

e valorizzazione degli strumenti 

del cantastorie africano: la parola, il ritmo, la voce. 

In questo contensto sono stati realizzati workshop creativi per anziani,

genitori e bambini, mamme migranti. 

Utilizzando linguaggi tra loro diversi, dalla scrittura alla musica, 

ciascun beneficiario ha contribuito in modo personale al racconto corale del quartiere”

 

 

Nella spaziosa sala luminosa della Fabbrica, le persone continuano a muoversi, parlare e interagire fra loro: c'è chi guarda la mostra per conto proprio, chi chiacchiera animatamente in gruppo, chi condivide sorridendo un pezzo di focaccia con un bicchiere di vino. Di nuovo ripenso alle parole di David: l'esposizione è un'espediente meraviglioso per creare connessioni. Mi ritrovo davanti a uno schermo che proietta un filmato in bianco e nero. Sui volti delle donne che si muovono, insieme alle rughe del tempo, si delineano altre rughe: quelle d'espressione. Sorridono, ridono, gesticolano e riempiono uniformemente lo spazio con gesti e movenze misurati e naturali. Sono tutte vestite di nero, alcune sono più eleganti.

 

“Le iniziative dedicate alla Terza Età hanno previsto 

momenti di socialità in vari luoghi di Zona 8. 

In particolare il progetto ha previsto la realizzazione di laboratori dedicati 

all'espressione corporea e all'arteterapia. 

In questo contesto gli anziani hanno lavorato sul tema della memoria personale e collettiva

ricostruendo e condividendo il proprio vissuto nel quartiere.

Guidati dagli operatori, hanno approfondito le potenzialità percettive del corpo

e le modalità di fruizione dello spazio circostante.”

 


 

 

Supero lo schermo e intravedo dei fasci di luce che illuminano pannelli in legno su cui spiccano immagini coloratissime, molto diverse rispetto alle precedenti.

 

“L'Okapi è un animale realmente esistente ( una zebra/ giraffa/ antilope) 

simbolo di bellezza, unicità e convivenza positiva delle differenze. 

Il progetto “Come l'Okapi” - attraverso il lavoro in 36 classi, 

distribuite in 3 diverse aree di Milano – 

ha strutturato percorsi formativi per stimolare l'inclusione e il dialogo tra culture.

L'esperienza in Zona 8 ha visto la realizzazione di un percorso 

sui temi del dialogo e della valorizzazione delle differenze, 

caratterizzato dall'utilizzo della street art e della restituzione 

alla cittadinanza di un murales d'autore.

Il lavoro di Shari Gioia e Nicolò Panzeri ricostruisce le fase del progetto 

realizzato grazie alla collaborazione degli artisti Pao, Pinxit, Tomoko.”

 

 

I raggi del sole che tramonta mi cadono addosso , dall'alto,e i colori festosi dei murales immortalati nelle immagini mi riempiono gli occhi.


 

Procedo verso l'ultima parete.Un paio d'occhi socchiusi su un viso pallido che affiora da una camicia molto e, sotto, dei quaderni appesi in fila. Lilla, tutti lilla.

 

 

“Obiettivo del progetto è quello di promuovere lo scambio

interculturale e integenerazionale tra gli abitanti di Zona 8.

Con tale finalità sono stati realizzati laboratori dedicati

alla memoria e alla scrittura creativa, grazie ai quali anziani e migranti

hanno sperimentato la redazione di brevi testi autobiografici.

Le iniziative culturali svolte nei caseggiati del quartiere hanno promosso

la comunicazione e l'ascolto tra persone di diversa età e provenienza.

Le immagini di Sara Casna raccontano un laboratorio di scrittura dedicato alla memoria e al ricongiungimento familiare.”

 

 

Si fa spazio la consapevolezza di quanto il fotogiornalismo sia utile sia a fini pratici, per l'informazione, la documentazione e la testimonianza, sia a fini sociali, sia per il fotografo che per i fruitori del suo lavoro. Costituisce un'esperienza che coinvolge tutti i sensi, che ci spinge al contatto con l'altro, con il diverso, spesso anche con realtà scomode che avremmo preferito non approfondire. Guardo il cortile di Fabbrica,con un profondo sentimento di gratitudine per Parallelozero, per le associazioni, per i reporter e , soprattutto, per le persone. Pochi giorni dopo, un'intervista a James Nachtwey mi conferma quanto avevo intimamente considerato:

“I fotografi raggiungono gli estremi delle esperienze umane per far vedere alla gente cosa succede.Qualche volta rischiano anche la vita,perchè pensano che le vostre opinioni e la vostra influenza contino. Indirizzano le loro immagini ai vostri sentimenti migliori,generosità, il senso di giusto e sbagliato,la capacità e la volontà di identificarsi con gli altri,il rifiuto di accettare l'inaccettabile” .

Ora le parole di Griffin, unite all'esperienza della mostra, acquistano un senso.

 

 

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