Intervista a Francesca Alfano Miglietti, curatrice della mostra a Milano di Letizia Battaglia

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Autore: Emanuele Broli
www.emanuelebroli.it

A Milano, dal 5 dicembre fino al 19 gennaio, c'è una mostra sul lavoro di Letizia Battaglia. Una mostra che racconta la figura di una delle più grandi fotografe legate al mondo del fotoreportage in Italia.
Francesca Alfano Miglietti, oltre che curatrice della mostra, è una delle figure italiane che ha spaziato nel mondo dell’arte italiana, ed in particolare milanese, seguendo il Padiglione di Arte Contemporanea per anni oltre che innumerevoli gallerie della città. Questa l’intervista che ci ha rilasciato in esclusiva per il nostro blog.

Come nasce e come viene selezionata una mostra in un luogo importante come Palazzo Reale?
La mostra di Letizia Battaglia è stata ideata e prodotta per il Museo dei Tre Oci di Venezia. Sin dall’inizio, però, è stata pensata come una mostra itinerante, e Palazzo Reale di Milano, nella figura del suo direttore, Domenico Piraina, ha subito accolto l’idea dell’esposizione milanese.

L’Ora di Palermo è il punto di partenza di Letizia Battaglia. Un percorso simile a quella di Letizia è ancora possibile in Italia oggi per una giovane fotografa?
È il giornale L’Ora di Palermo il quotidiano per cui Letizia Battaglia collaborava e  La vicenda del giornale L'Ora è intrecciata con quella della città di Palermo, ed è con questo quotidiano che nasce il giornalismo antimafia, che tre generazioni di cronisti si formano nella redazione di Piazzetta Napoli. Il racconto delle battaglie del giornale si intreccia così con i casi di cronaca più significativi e con i drammi che hanno portato alla morte di tre cronisti de L'Ora, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro e Giovanni Spampinato.
Un percorso come quello di Letizia Battaglia è possibile sempre in un paese dove la stampa è libera e dove il giornalismo non è solo un modo di dire.

Pur avendo fotografato di tutto, l’immagine di Letizia Battaglia è legata alle immagini sulla mafia a partire dalla fotografia dell’omicidio di Piersanti Mattarella. Non è limitante per un fotografo essere troppo legato a solo alcuni dei propri scatti passati?
La mostra di Milano dimostra esattamente il contrario: con circa 300 fotografie, molte delle quali inedite, si attraversa l’intera vita professionale della fotografa siciliana, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo costruito su diversi capitoli e tematiche. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull'amore, e due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana e artistica. Il percorso espositivo si focalizza su molte delle tematiche che l’hanno portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Se molti identificano Letizia Battaglia solo con le immagini degli omicidi di mafia è solo perchè non conoscono il resto della sua produzione.

Quanto le immagini di mafia della Battaglia hanno avuto il potere di cambiare la visione della criminalità in Italia secondo lei?
Questa domanda ha a che fare sull’ignoranza, io non so che idea si avesse o si ha della criminalità in Italia… forse bisognerebbe studiare ogni tanto….

Quanto e come l’impegno civile e l’arte come si conciliano, secondo lei, nel lavoro di Letizia Battaglia?
Letizia Battaglia di un’intellettuale controcorrente, e ‘tratta’ il suo lavoro come un manifesto, esponendo le sue convinzioni in maniera diretta, vera, poetica e colta, rivoluzionando così il ruolo della fotografia di cronaca.

Letizia Battaglia alla mostra di Milano al Palazzo Reale, è più Letizia o più Battaglia?
I due volti sono assolutamente uno solo: quello di una persona coerente e vitale.

"La Palermo che amo puzza" diceva la Battaglia in un’intervista a Soul nel 2016. Quanta "puzza" ci deve essere in lavoro fotografico secondo Francesca Alfano Miglietti?
Quella necessaria a non nascondere i fatti, a non coprire le situazioni, a non abbellire quello che in realtà nasconde il marcio… La fotografia dovrebbe ‘rivelare’ non nascondere…

La sensazione è che nel sud Italia vi sia un fermento artistico. Negli anni scorsi è stato aperto il Centro di fotografia a Palermo. Può dare una spinta alla fotografia anche in Sicilia?
Certo, tutti gli spazi che aprono danno nuovi impulsi e nuove possibilità. Abbiamo bisogno di aprire: spazi, relazioni, mostre, concorsi… In Sicilia come nel resto del Paese.

E’ in uscita “Shooting the Mafia”, un film diretto da Win Longirotto, che racconta la sua vita e la sua opera. In un periodo in cui il cinema in sala è in difficoltà, ha senso andare a vedere in sala un documentario su una reporter italiana?
È un film molto bello… e comunque, a mio parere, val sempre la pena di uscire, di andare al cinema, di andare a piedi, di esserci… Abbiamo bisogno di vedere e di vederci… Usciamo dagli schermi anonimi che ci appiatiscono sui social e riprendiamoci la vita.

Che cos’è una buona fotografia per Francesca Alfano Miglietti?
Quella che ci fa vedere, che ci emoziona, che ci fa cambiare idea.

 
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